Nel Tempio sono presenti anche le immagini di tre divinità: Minerva, Ercole, Venere.
Le Tre divinità
Minerva
Minerva era la dea della saggezza e della conoscenza. Nata dalla testa di Giove da cui esce già adulta e con tanto di armatura, aveva come simbolo l’ulivo il cui olio nell’antichità era usato per alimentare le lampade per illuminare. Dal simbolo della luce fisica a quello della luce interiore il passo è breve. Aveva anche come simbolo la civetta animale che vede nell’oscurità, simbolo della luce che emerge dalle tenebre del caos, ed inoltre era rappresentata dal pavone, la cui coda sembra composta da migliaia di occhi simbolo della conoscenza che vede ogni cosa. Essa rappresenta la saggezza che guida il venerabile nel suo compito.
Ercole
È il simbolo della forza e della determinazione, perché la saggezza necessita della forza e della stabilità per essere applicata. La ricerca spirituale non è percorso per deboli, ne per i pigri.
Venere/Afrodite
Venere è il simbolo della bellezza che ispira la loggia, ma è sempre associata al suo doppio, ovvero Afrodite. È la dea della bellezza, il cui culto di origine asiatica è celebrato in molti santuari della Grecia, soprattutto a Citera. Figlia del seme di Urano (il Cielo) sparso sul mare dopo la castrazione del Cielo da parte di suo figlio Crono (da cui nasce la leggenda di Afrodite nata dalla spuma dei mare), sposa di Efesto lo zoppo che essa ridicolizza in molte occasioni, rappresenta le forze irrefrenabili della fecondità non nei loro frutti ma nel desiderio appassionato che esse accendono nei viventi. Spesso è rappresentata tra le fiere che la scortano come nell’inno omerico in cui l’autore evoca innanzitutto il suo potere sugli dei, poi sugli animali: «Ella fa smarrire la ragione anche a Zeus che ama il fulmine, lui, il più grande degli dei … ; anche questo spirito saggio lo corrompe quando vuole… Raggiunse l’Ida dalle mille sorgenti, la montagna madre delle fiere; dietro di lei venivano adulandola i lupi grigi, i fulvi leoni, gli orsi e la rapida pantera, insaziabile di cerbiatti.
Alla loro vista, essa si allietava di tutto cuore e gettava il desiderio nei loro petti; allora insieme essi correvano ad accoppiarsi nell’ombra delle valli» (Inni omerici, 36, 38, 68-74). E’ l’amore nella sua forma unicamente fisica, il desiderio ed il piacere dei sensi: ma non ancora amore specificamente umano. Sul piano più elevato dello psichismo umano, in cui l’amore è completato dal legame delle anime, il cui simbolo è Era sposa di Zeus, il simbolo di Afrodite esprime la perversione sessuale, perché l’atto sessuale può essere cercato solo in funzione del piacere che la natura vi collega. Il bisogno naturale allora si esercita perversamente (Diel Paul, Le symbolisme dans la la Mythologie grecque, Paris 1966, pag.166). Ci si può però chiedere se l’interpretazione di questo simbolo non si evolverà in seguito alle più moderne ricerche sui valori propriamente umani della sessualità. Anche negli ambienti religiosi più severi, si sta studiando se l’unico scopo della sessualità sia la fecondità, se non sia possibile umanizzare l’atto sessuale indipendentemente dalla procreazione. Il mito di Afrodite potrebbe restare ancora immagine della perversione, perversione delle forze vitali e della gioia di vivere, non più perché la volontà di trasmettere la vita sarebbe assente dall’atto d’amore ma perché l’amore stesso non sarebbe, in esso, umanizzato. Resterebbe a livello animale, degno delle fiere che compongono il corteo che segue la dea. Alla fine di questa evoluzione, però, Afrodite potrebbe apparire come la dea che sublima l’amore selvaggio, integrandolo in una vita veramente umana.